Ed ecco il quarto episodio di DO-NUTS, il podcast con il web intorno.
Credo davvero di non esagerare dicendo che questa è una delle puntate più interessanti e singolari di DO-NUTS.
La protagonista dell’episodio di oggi è Erika Gili, web developer. Senza di Erika e di chi fa il suo mestiere non esisterebbe WordPress e forse nemmeno il web, ma per trovare una donna che rappresentasse la categoria ho dovuto davvero cercarla con il lanternino.
Erika nasce come ingegnere energetico ma ha scelto la strada dello sviluppo web, sua grande passione. Ora è Head of Web Development & Senior Full Stack Developer presso una software development company.
In poche parole, Erika sviluppa programmi che ci semplificano la vita.
In questa puntata parliamo di team, di sviluppo di siti ma anche – o soprattutto – di inclusività e di differenze di genere in un mondo, quello del development, in cui le donne sono davvero sotto rappresentate.
Ma Erika ci dà buone notizie, la situazione è meno difficile di quanto si creda.
Clicca su play e fai partire l’episodio:
Trascrizione Episodio 4
Ciao, benvenuta a Do-Nuts, il podcast con il web intorno.
Io sono Ljuba, sono una web designer freelance e creo siti internet per business woman di carattere.
Amo le donne che fanno squadra e credono fortissimo nei propri sogni.
Come me.
Do-Nuts ti farà andare fuori di testa, ti sorprenderà, ti guiderà, ti parlerà di una presenza online chiara, onesta, emozionante.
Do-Nuts ospita professioniste pazzesche che hanno qualcosa in comune con il web.
Dalla SEO al copywriting, dalla traduzione alla programmazione, dalla fotografia alla grafica, un podcast spiegato semplice per chi sogna una comunicazione che spacca.
In questa puntata conoscerai Erika Gili
Ljuba: Ciao Erika benvenuta.
Erika: ciao Ljuba. Grazie per avermi invitata alla tua puntata.
Ljuba: Credo davvero di non esagerare dicendo che questa sarà una delle puntate più interessanti e singolari di Do-Nuts. Provo a raccontare in due parole come ci siamo conosciute, perché la verità è che tu sei l’unica professionista intervistata per questo podcast con cui non ho mai avuto occasione di collaborare. Questo perché ho dovuto davvero cercarti con il lanternino.
Senza di te e di chi fa il tuo mestiere non esisterebbe WordPress e forse nemmeno il web, ma per trovare una donna che rappresentasse la categoria ho dovuto smuovere tutte le mie conoscenze. Ho chiesto ad alcuni uomini e nessuno ha saputo indicarmi una collega donna. Poi ho chiesto a Francesca Marano e lei mi ha fatto il tuo nome. Infatti eri stata speaker al WordCamp Milano 2018 e lei si ricordava di te. E io la ringrazio davvero di cuore per avermi permesso di entrare in contatto con te ed intervistarti per per questo mio podcast.
Adesso scopriremo qual è questo lavoro particolare che fai, per il quale ho faticato tanto a trovarti.
Quindi, Erika ci racconti chi sei e cosa fai nella vita?
Erika: Certamente. Allora diciamo che io accademicamente parto come un ingegnere energetico, quindi ho studiato… ho fatto la triennale in ingegneria energetica. Dopodiché ho sostenuto l’esame di abilitazione all’esercizio della professione, il famoso esame di stato, e sono addirittura stata iscritta ad un ordine degli ingegneri per un paio di anni nei quali ho lavorato come un ingegnere energetico.
Dopodiché, ho capito che la passione che avevo e che ho mantenuto viva durante tutti gli anni dell’università era più forte di quello che stavo facendo giorno per giorno e quindi ho deciso di cambiare il mio destino e dedicarmi allo sviluppo web, tanto che dal 2011 lavoro sul web. Ho imparato tutto da sola, comunque nessuno mi ha mai insegnato questo mestiere. Ho dovuto fare tutto da sola a parte per le basi perché comunque ho avuto delle ottime basi sia a scuola che poi all’università, e col tempo ho acquisito le conoscenze necessarie, le esperienze per definirmi un full stack web developer, ovvero uno sviluppatore web che è in grado di lavorare sia con linguaggi server-side che client-side.
Considera che dico sempre che io avrei voluto fare da grande il programmatore backend, chi si occupa insomma del linguaggio lato server e ogni volta che mi trovo davanti a uno script JavaScript, tipo che non fa quello che vorrei, io “mannaggia, io volevo fare solo backend!”. Però mi rendo conto che questa conoscenza a tutto tondo che ho mi piace, mi piace tantissimo perché io vedo tutta l’evoluzione che ha un dato che esce dal database e finisce visualizzato su uno schermo. Come viene visualizzato, che cosa gli succede nel frattempo… io conosco tutto di quel dato e mi piace da morire.
Non so se è una forma di problemi sul controllo che posso avere… Non lo so, e che quindi mi piace avere tutto sotto controllo.
Ljuba: Tu dici?
Erika: Eh, mah…
Ljuba: L’hai sublimato bene se così fosse.
Erika: Sì, Non sono diventata un serial killer, è andata bene.
Ljuba: Solo una programmatrice.
Erika: Sì infatti, siamo fortunati.
E quindi questa cosa mi piace tantissimo ed è veramente un’espressione della mia passione.
Inoltre da qualche mese a questa parte nell’azienda dove lavoro ho iniziato a ricoprire il ruolo di Head Web Development. Vuol dire che oltre a smazzarmi un sacco di riunioni gestisco i progetti web dell’azienda e sono un punto di riferimento per i miei colleghi più giovani, magari, o che hanno bisogno di un momento di brainstorming o di qualche consiglio, o perché no anche di supervisione e aiuto insomma nel gestire il progetto.
Inoltre, sempre perché non so se si capisce ma mi piace, sono una persona curiosa, mi piace vedere tutte le novità dell’ambito… dal 2017 circa esploro anche le possibilità del conversazionale quindi sto parlando di Google Assistant e ovviamente anche di Alexa e mi diverto da morire con schede Arduino e IoT perché mi piace tanto fare accendere led colorati in giro per casa. Ovviamente ho mischiato tutto quanto e ho dei led colorati che si accendono con comando vocale tramite Alexa, quindi.
Ljuba: Mi sembra il minimo.
Erika: Eh sì.
Ljuba: Insomma, ho fatto un po’ di fatica a trovarti però mi sembra di capire che alla fine ho trovato una professionista davvero a tutto tondo e forse non ho esagerato all’inizio quando dicevo che senza la tua professionalità e i professionisti come te non esisterebbe neanche WordPress perché, insomma, ti occupi proprio del processo di sviluppo dall’inizio alla fine.
Erika: Eh sì, è quello che mi piace fare anche a livello di analisi e diciamo che a livello di WordPress in sé non ho ancora deciso di contribuire nel core però magari prima o poi tenterò anche la strada di contribuzione.
Ljuba: Intanto hai parlato ad un WordCamp quindi una parte di contributo alla community di WordPress l’hai già portato insomma. Un pezzo per volta, poi magari…
Erika: Un pezzettino sì.
Ljuba: Allora, tu hai spiegato perfettamente il tuo lavoro che, non lo nascondo, è decisamente complesso rispetto, o comunque più complesso da comprendere per i non addetti ai lavori rispetto magari a chi si occupa di grafica o di fotografia per esempio.
Provi a spiegarci di nuovo il tuo lavoro ma come se lo stessi raccontando a tua mamma o persino a tua nonna?
Erika: Ah… In effetti adesso che mi ci fai pensare non ho mai spiegato qual è il mio lavoro a mia nonna, in effetti. A mia mamma sì, ultimamente in effetti le ho fatto vedere qualche progetto che ho fatto ma a nonna no. E adesso che ci penso la prossima volta che la vedo glielo dirò. Così perché sì. Intanto allora mi alleno… Cosa posso dire a nonna? Allora, la cosa che mi viene meglio in mente per descrivere in maniera semplice il lavoro che faccio è che realizzo dei programmi che possono essere utilizzati da chiunque sia sul proprio computer che sul proprio cellulare senza bisogno di installare niente di particolare. Una persona apre il computer basta che utilizza un browser, quindi per nonna basterebbe dire Google…
Ljuba: Ok, giusto.
Erika: …e può utilizzare il mio programma. Un programma che può fare tante cose, ovviamente non determinate altre cose. Ma diciamo che questa è anche una delle motivazioni che mi ha spinto a perseguire la carriera web piuttosto che da sviluppatore desktop o mobile perché un sito web veramente arriva su qualsiasi dispositivo che abbia un browser. Nei miei programmi io posso fare sia cose semplicissime tipo appunto farti vedere una foto o un testo sia azioni che mettono in correlazione più programmi. Quindi io posso chiamare il programma fatto da qualcun altro, utilizzarne i dati oppure passargli dei dati e quindi creare una rete di scambio di dati con più programmi.
Ljuba: Insomma, provo a dirlo ancora più semplice, vediamo se ho capito, perché in questo momento mi metto nei panni della nonna. Tu Erika scrivi programmi che semplificano la vita alle persone che navigano su Google, su internet.
Erika: Esatto. Anche la semplificazione in effetti è uno dei miei cavalli di battaglia, è quello che mi guida anche giorno per giorno. Perché quando mi arriva un cliente che mi dimostra di avere un problema io devo essere in grado di automatizzare tutto quello che posso per risolvergli il problema e quindi la semplificazione è molto alla base del mio lavoro, perché dopo, appena inizi ad imparare è tutto difficile quindi un pezzettino in più ogni volta è sempre faticoso da aggiungere, da imparare, da utilizzare, da capire e quindi all’inizio tendi a dire “vabbè l’utente se ne farà una ragione se questa cosa non è proprio come ce l’aspettiamo”, poi piano piano inizi a metterti un po’ nei panni di quell’utente e dici “certo che però… che schifo. Sarebbe potuto essere migliore questo programma se avessi fatto questo, questo e quest’altro”. Vedendolo da utente, e quindi inizi a darti dei livelli di qualità che con l’aumentare della tua esperienza e quindi della tua capacità di imparare cose nuove raggiungi e quindi dai un prodotto al cliente veramente di alta qualità perché sei stato in grado di uscire dai tuoi panni per mettersi nei suoi. Tutto questo prevede che io studi dalla mattina alla sera, sto continuamente a studiare per aggiornarmi e per imparare cose nuove e quindi per conoscere come meglio risolvere quei problemi.
Ljuba: Perché giustamente il tuo è… anche il tuo è un mestiere in cui non… davvero è in continua evoluzione, costantemente, quindi il codice non è scolpito nella pietra, cambia e si evolve, migliora e tu devi studiare continuamente, per stare al passo per migliorare.
Erika: Eh sì, aumenta. Perché c’è un detto diciamo tra noi nerd che la tua conoscenza diminuisce con il passare del tempo perché nel frattempo aumenta la conoscenza disponibile, che tu non stai studiando e quindi più c’è conoscenza disponibile più tu piano piano diminuisci la tua quantità di conoscenza.
Ljuba: Giusto, bisognerebbe avere molto più tempo da dedicare allo studio e alla formazione, ma questo sappiamo essere un altro dei problemi di noi professionisti, insomma. L’avere il tempo per formarsi.
Ora vorrei aprire una piccola parentesi perché in una delle prime mail che ti ho mandato ricordo di averti chiesto se preferivi essere definita sviluppatrice oppure programmatrice. Ovviamente io stavo puntando tutta la mia attenzione sul fatto che in questo podcast intervisto solo professioniste donne, per quello avevo utilizzato termini al femminile. Tu mi hai risposto “per la verità preferisco essere definita web developer perché è senza connotazione di genere” e quando ti ho chiesto di spiegarmi meglio mi hai guidata lungo una meravigliosa riflessione sulle differenze e sugli estremismi. Ti va di raccontare anche a tutti gli ascoltatori come mai preferisci definirti web developer?
Erika: Certo! Allora, prepariamoci a una lunga parentesi perché partiamo da molto lontano, dal fatto che comunque di questi tempi da quello che vedo online e anche in grandi raduni, come possono essere il WordCamp, si stanno smuovendo molto le acque riguardo l’inclusività. L’inclusività di qualsiasi altra persona che non sia il solito maschio bianco come può essere definito. Perché comunque in particolare le donne rischiano di essere sempre sotto rappresentate in numero nell’ambiente scientifico, insomma. Confermo che è così. lo vedo di persona. Mi sono ritrovata a fare corsi dove ero l’unica donna all’interno della classe e quindi sì, siamo poche. Nella mia azienda siamo addirittura in tre ed è partito tutto, nel mio caso diciamo, dall’università. Da quello che ho visto insomma nella mia vita. Perché considera che dalla mia annata di laurea sono uscita solo io come donna, siamo partiti in 100, eravamo in cinque donne, l’ultimo anno siamo arrivati in cinque e io ero l’unica sopravvissuta del genere femminile.
Ljuba: Una selezione pazzesca.
Erika: Sì, infatti. Probabilmente suppongo che l’ambiente ingegneristico sia ancora rimasto con una mentalità un pochino chiusa e quindi da quello che ho visto in effetti venivamo trattate in maniera differente. Per me è stato provante da quel punto di vista perché comunque oltre al fatto che stai studiando una materia che non è per niente semplice, ti mettono continuamente i bastoni tra le ruote perché sì… diciamo che dal punto di vista invece del mondo del lavoro non ho subito così tante ostilità però sempre specifichiamo quale mondo del lavoro. Perché quello ingegneristico si sentiva ancora la puzza dell’ambiente universitario, mentre nel mondo dell’informatica la mentalità l’ho trovata sempre molto più aperta. Tanto che in alcuni casi mi hanno cercata perché ero una sviluppatrice donna. Perché anche lì i capi avevano esperienza con altre sviluppatrici donne e ritenevano che la donna potesse essere molto più cocciuta nel lavoro e quindi volevano quel tipo di attitudine. Tornando quindi ai giorni nostri, siamo partiti dall’università, con tutta questa agitazione vedo sia azioni molto positive di dialogo che vengono intraprese sui social e dal vivo ma anche discorsi che in nome di questa agognatissima uguaglianza tendono verso l’estremismo e quando questi discorsi vanno verso qualsiasi estremismo per me non sono più discorsi buoni alla fin fine. Stiamo estremizzando qualcosa che è partito dall’essere solo una necessità di portare più apertura mentale e più punti di vista all’interno di un ambito, per arrivare a “il vostro punto di vista è sbagliato” e questo quindi non mi piace. Quindi dal mio piccolo cerco di partecipare a questa storia dell’inclusività pensandola in maniera molto più semplice. Ovvero che se non si facessero differenze non avremmo così tanto bisogno di raggiungere una parità di genere o di qualsiasi altra cosa abbia bisogno di parità, e quindi nel mio piccolo mi definisco web developer se posso perché appunto non ci metto un genere nella frase. Sono semplicemente una persona che può risolvere il tuo problema, poi che io sia donna o uomo, bianco o nero, non importa. L’importante è la mia competenza.
Ljuba: Come avevo anticipato questa riflessione che tu mi avevi già fatto quando ci eravamo sentite la prima volta mi aveva colpita tantissimo e mi ha fatta molto molto riflettere perché effettivamente… anche se penso proprio ai WordCamp, che forse in qualche modo sono stati un po’ quello che ci ha fatte conoscere, alla fine, perché se tu non avessi partecipato al WordCampo Milano forse non ci siamo mai conosciute, puntano davvero tantissimo sulla questione inclusività per quanto riguarda le donne, non solo chiaramente, ma le donne in quanto appunto sotto-rappresentate. Quindi, io ho fatto parte dell’organizzazione di diversi WordCamp Torino e ogni volta quando bisognava selezionare gli speaker, c’era effettivamente un occhio di riguardo per avere una sorta di parità a livello statistico, cioè a livello percentuale, tra uomini e donne. E a Torino ci siamo quasi sempre riusciti, in tanti WordCamp questo è proprio impossibile perché sono pochissime le donne a candidarsi per parlare ad un WordCamp. Però davvero la tua riflessione è molto ampia, quindi va ben oltre al discorso WordPress, WordCamp e web in generale, ma riguarda proprio la vita e mi ha fatto davvero pensare quando dici “se non esistessero le differenze non esisterebbe il bisogno di tutelarsi in qualche modo, difendere la presenza della donna all’interno di un ambiente ben specifico”. Quindi è un argomento vastissimo, che chiaramente non potremo mai esaurire neanche in diverse puntate, però ci tenevo a fartelo esporre insomma, a fartelo raccontare perché mi aveva davvero davvero colpita.
Io mi ero preoccupata semplicemente di chiederti se preferivi programmatrice o sviluppatrice proprio come sfumatura.
Erika: Eh sì, perché comunque proprio per il mio passato da ingegnere, pensa, c’è stato un periodo che quando dovevo presentarmi mi presentavo ingegner Gili, senza e senza senza a, senza nessun problema di quella vocale che non si sa in che senso metterla. E a proposito di questo leggevo ultimamente di… la Cristoforetti, la nostra bravissima Cristoforetti, che su Twitter appunto esponeva questo fatto dell’ingegnere a lei si presenta come ingegnera e lì ha generato un pandemonio di commenti perché come al solito si deve sempre andare a finire su modi violenti di comunicare, invece che mantenere un più cordiale “Ok, quella è la tua opinione, la mia opinione è un’altra ”. Vabbè, quindi tanti sotto hanno scritto di tutto. Però anche lei se ne è uscita dicendo “io mi presento come ingegnera perché la prima volta in effetti mi faceva strano sentire qualcuno che qaulcuno si presentasse come ingegnera poi dopo riflettendoci non c’è niente di male”.
Ljuba: E questa è la sua scelta e dovrebbero tutti tutti rispettarla.
In effetti, se posso dire la mia opinione, forse abbiamo ancora così tanta strada da fare per avere davvero questa parità di genere che forse in alcuni casi dobbiamo un po’ premere sull’acceleratore, o comunque insistere un pochino più del dovuto per vederla riconosciuta e quindi potrebbe essere anche che utilizzare questi termini… anche a me per esempio ministra, sindaca non hanno mai fatto impazzire però piano piano li sto anche un pochino rivalutando perché forse invece, visto che le parole hanno davvero un peso e hanno un peso molto importante, forse hanno un loro senso di esistere anche se ci suonano male. Forse ci suonano male solo perché non siamo mai stati abituati a sentirle e se non siamo mai stati abituati a sentirle è perché quei ruoli erano solo ed esclusivamente maschili.
Erika: Eh, probabile.
Ljuba: E quindi sì, c’è molto da riflettere su questa cosa però è anche molto bello il fatto che tu dica che tu preferisci ok una definizione come web developer che è neutra, non ha una connotazione di genere però non perché ti devi tra virgolette “fare scudo” dietro questa definizione neutra, anzi dici che nel tuo ambiente la situazione non è assolutamente complicata per le donne. In realtà ti confesso che io immaginavo… immaginavo di sì. Immaginavo un ambiente molto maschilista, un ambiente abbastanza… Forse sei in una in una realtà aziendale un po’… un po’ speciale, un po’ aperta di mentalità? O Secondo te tutto il mondo web e tutto il mondo degli sviluppatori è così aperto?
Erika: Allora, ammetto che ho lavorato anche parecchio in realtà giovani e quindi l’azienda dove sono adesso, comunque la media degli anni è sui 25 anni. Anche in passato ero in una start-up quindi stiamo parlando del mio capo che aveva meno anni di me. Quindi ammetto che sono in situazioni privilegiate, ma in passato ho anche lavorato in altri ambienti e non ho avuto questo problema che comunque vedevo su altre, si applicava su altre colleghe diciamo così. Forse perché dipende anche un po’ dal modo di porsi. Forse perché, non lo so, anche a livello fisico sono una donna un po’ fuori dagli standard: sono alta un metro e ottanta, ho il fisico comunque che si vede che sono stata un’atleta agonista…
Ljuba: Di cosa e posso chiedertelo?
Erika: Di karate.
Ljuba: OK.
Erika: Eh, sono quasi arrivata in nazionale, insomma. E quindi si vede che ho un fisico che posso essere confrontata con un uomo, mettiamola così. E molto spesso mi hanno detto che metto soggezione.
Ljuba: Che questa è la cosa peggiore che possa capitare ad un uomo: essere messo in soggezione da una donna e poi da lì partono poi tutte le vessazioni in teoria, quindi…
Erika: Esatto…
All’università è successo quello, perché sono abbastanza sicura che nel caso di una persona fosse questo il problema. Sul posto di lavoro sì e no, nel senso che ho sempre cercato di pormi in maniera professionale, in maniera tranquilla ma sicura e quindi cercando sempre di porre più possibile l’attenzione sul fatto che sono un professionista e non una studentessa così, buttata insomma in mezzo a ai leoni e quindi diciamo che credo di essermi evitata tanti problemi semplicemente con un modo di comportarmi, ecco.
Ljuba: Ok, quindi diciamo che non si può dire che non sia un ambiente un pochino maschilista o quantomeno con una connotazione maschile molto molto forte, però con il giusto atteggiamento e comunqu ci sono… direi che ci sono buone notizie. Ecco, ci lanci buone notizie dal mondo degli sviluppatori.
Erika: Sì. Probabilmente fa più paura l’entrarci nel mondo che il rimanerci, perché una volta che hai superato questo limite, dopo capisci come rimanerci. Considera che nonostante la mia esperienza, nonostante tutti i posti di lavoro che ho avuto, al WordCamp Milano quando ho finito il mio speech insomma, sono stata ho partecipato anche al Contributor Day, quindi al giorno precedente, in cui tutti si radunano in tavoli e contribuiscono su un determinato ambito. Io sono arrivata lì pensando di mettermi sul tavolo del core appunto per contribuire al codice. Arrivo, individuo il tavolo e lo vedo pieno di nerdacchiotti tutti chini sul loro computer con le tastiere RGB, mouse spaziali, che non si parlavano tra un po’ perché erano già tutti quanti presi a fare qualcosa che non era nemmeno iniziato il Contributor Day, ma loro già facevano qualcosa… E mi hanno messa in soggezione, io non sono andata sul tavolo del core. Sono andata sul tavolo dell’accessibilità, che è stato estremamente interessante e dove abbiamo parlato…
Ljuba: Con Andrea Fercia immagino…
Erika: Esatto, esatto. Abbiamo parlato un sacco, abbiamo fatto degli esercizi insieme, è stato bellissimo. Ho lasciato ai nerdacchiotti il loro mondo chiuso che non mi stava piacendo così a pelle, però in effetti nonostante la mia esperienza, ecco è stato d’impatto quello che ho visto e mi ci sono allontanata.
Ljuba: Ecco vedi quindi in alcuni casi nonostante i forti tentativi di essere inclusivi, proprio ai WordCamp, in questo caso si poteva forse fare di meglio. Ecco. Però lì forse non era neanche una questione di genere, anche un ragazzo con il tuo stesso carattere avrebbe potuto provare la stessa sensazione e preferire un tavolo un pochino più vivace, diciamo così.
Erika: Sì sì infatti. Probabilmente lì non era un problema di inclusività ma semplicemente che a pelle mi hanno dato un’idea, una sensazione di chiusura, io già c’ho i miei problemi di timidezza. No, per carità…
Ljuba: Bene, adesso vorrei fare una sorta di piccolo gioco di ruolo. Fingiamo per un momento che tu sia una freelance e non parte di un team di una web agency e che io sia una potenziale cliente che vuole un sito web. Perché dovrei aver bisogno anche di un web developer? Non mi basta pagare un web designer? Cosa potresti aggiungere tu al mio progetto?
Erika: Beh, diciamo che io rendo il tuo progetto ancora più tuo, ovvero per esperienza ogni singolo progetto sul quale ho lavorato c’è sempre stato bisogno di quel qualcosa in più di personalizzazione, una funzionalità più specifica per il progetto che magari non viene fornita da un sistema base come può essere WordPress e quindi sì, la cosa funziona ma potrebbe funzionare meglio. Per comprendere meglio questo concetto io di solito uso l’esempio del cucchiaio e della pala. Un cucchiaio e una pala, puoi usarli tutti e due sia per scavare per terra che per mangiare la minestra, solo che diciamo il cucchiaio è un po’ scomodo per scavare per terra. No? Cioè è piccolino, se devi fare un solco ci metti un sacco di tempo, mentre la pala per mangiare la minestra, diciamo che è più grande del piatto, cioè come fai a raccogliere la minestra nel piatto e metterla in bocca con una pala? Quindi sì, potrebbero funzionare entrambi per fare tutte e due le cose solo che il cucchiaio è più adatto per mangiare la minestra e la pala per scavare per terra. Quindi io rendo quella pala che magari tu hai in mano il cucchiaio che ti può servire per il tuo progetto. Quindi le funzionalità, le integrazioni, un’estensione di quanto, di quanto esiste insomma, io mi occupo di questo. E quindi devo far fare ad una macchina tutte quelle azioni noiose e ripetitive, prevedibili, che individuo nel tuo progetto e ti lascio essere l’umano creativo dietro il progetto che quindi non si deve occupare di determinate cose che magari appunto con un sistema base devi fare a mano. Io invece lo programmo per essere più aderente possibile alla tua idea di progetto.
Ljuba: Perfetto, provo a entrare un attimino nella pratica, proprio, perché immagino un po’ quello che possono pensare i nostri ascoltatori. WordPress è la piattaforma, la piattaforma base su cui poi tutti andiamo a installare un tema e infiniti plugin. Io spero non infiniti ma tendenzialmente da n… n. plugin su WordPress.
Intanto diciamo che già la piattaforma WordPress è sviluppata da te, nel senso da chi fa il tuo mestiere quindi il fatto stesso che ci sia qualcuno là fuori che possa crearsi da solo un sito semplicemente installando WordPress, un tema e qualche plugin è perché esiste, esistono professionisti come te che fanno esattamente il tuo lavoro.
Poi dopo aver installato WordPress andiamo ad installare per esempio un tema che abbiamo scelto solitamente in base al suo aspetto grafico e non tanto tenendo conto delle sue funzionalità, soprattutto perché ci piaceva graficamente. E poi ci accorgiamo che abbiamo bisogno di un sacco di funzioni, per esempio vogliamo al portfolio filtrabile, vogliamo che le persone possano compilare un form di contatto e tante altre cose… per fare questo andremo probabilmente ad installare dei plugin. Anche i plugin sono di nuovo nient’altro che pezzi di codice scritti da programmatori come Erika. Quindi anche se magari Erika non la vedete fisicamente lavorare sui vostri siti è quella che fa tutte quelle cose che poi noi con due click andiamo a installare e pensiamo “oh guarda come funziona bene questo plugin, mi fa apparire i bottoni per la condivisione social, sono bellissimi”. Dietro c’è il lavoro di un programmatore.
Erika: Era proprio quello di cui avevo bisogno…
Ljuba: Era proprio quello di cui avevo bisogno… Perché qualcuno l’ha sviluppato e tu con due click lo hai installato.
Andando ancora un pezzetto oltre, una volta che hai creato il sito con il tuo tema e i tuoi plugin è molto probabile che ci siano comunque delle funzionalità che ancora ti mancano, di cui senti la mancanza, perché il tema arriva fino a un certo punto e anche i plugin arrivano fino a un certo punto.
Sparo, per fare proprio un esempio pratico: hai un bed & breakfast come attività e stai creando il sito del tuo bed & breakfast. Secondo me è molto probabile che ad un certo punto ti andrai a scontrare con il famoso plug-in per il booking, la prenotazione on-line delle stanze del bed & breakfast. Parlo per esperienza, anche per esperienza diretta.
Quello secondo me è uno dei plugin che crea, che ci fa sbattere di più la testa contro i muri perché tra i gratuiti non mi esprimo neanche ma neanche tra quelli a pagamento a mio avviso ci sono cose entusiasmanti, quindi è molto probabile che tu che stai creando da sola il tuo sito per il tuo bed & breakfast a un certo punto, se vuoi davvero che qualcuno prenoti le tue stanze tramite il tuo sito, concluda il pagamento, avvenga la prenotazione e magari quel sistema di prenotazione tramite il sito comunichi anche con un tuo gestionale interno. Lì molto probabilmente dovrai davvero fare intervenire una persona come Erica. Dico bene?
Erika: Dici benissimo. Io ti porto un esempio con un sito web che abbiamo fatto di eventi per un’azienda che organizza dei corsi.
Ljuba: Perché anche la gestione eventi sui siti web e un’altra bella… Prenotazione e gestione eventi sono due belle…
Erika: Belle gatte da pelare!
Loro non volevano gestire il pagamento del corso sul sito, volevano demandare tutto ad EventBrite. Va bene, avevano i loro accordi con EventBrite, ok. Però dopo che l’utente ha pagato il corso gli deve arrivare una email di ringraziamento. Però se quell’utente utilizza il link nelle email di ringraziamento per invitare altre tre persone a quelle altre tre persone lì deve arrivare l’email e a lui deve arrivare un codice sconto. Tutto questo non si ferma al “Ok, il sito ha una paginetta dell’evento con un link ad EventBrite”. È stata fatta una integrazione che su EventBrite ha potuto inserire un url del sito da chiamare ad ogni biglietto venduto. Cosicché il dato che l’utente aveva acquistato il biglietto arrivasse sul sito, io potessi salvarmi quell’utente, mandargli l’email, generare il suo link, quindi capire se si erano iscritte altre tre persone con questo link… allora potevo assegnare a quell’utente un codice sconto che avrebbe potuto utilizzare in futuro, tutto quanto in maniera automatica. Cioè all’inizio il cliente pensava di doversi gestire tutto quanto a mano. Dice “eh, ma io come faccio? Questi utenti dove li vedo? Su EventBrite? Li posso caricare su un Excel?”. Per carità, cioè quando inizi a dire a un programmatore che gestiamo le cose su Excel… No! Abbiamo un database, abbiamo un server che si occupa di tracciare queste cose, facciamo fare le cose prevedibili ad un programma. E praticamente lui è stato sgravato di qualsiasi problema se non dover inserire per la prima volta il testo dell’email che doveva arrivare.
Ljuba: Infatti vorrei proprio sottolineare che è proprio quello che fanno i programmatori, l’ho detto già prima, semplificare la vita. Anzi forse il vostro lavoro spesso non viene percepito tanto dall’utente finale, parlo proprio del cliente finale, perché magari sono necessarie migliaia di righe di codice per fare cose che all’utente sembrano così.. “è così semplice far partire una mail in automatico appena uno si scrive al mio corso, che cosa ci vuole?”.
No, che cosa ci vuole più o meno! Anzi, sono proprio i siti più semplici, diciamo, più semplici da navigare, più efficaci, quelli che richiedono due click per arrivare all’obiettivo eccetera… dietro i quali c’è probabilmente un grande lavoro di sviluppo e di scrittura di codice che io definisco – correggimi se sbaglio – custom. Cioè non ci si accontenta del codice di WordPress, del tema, del plugin ma c’è proprio un programmatore che va a scrivere codice ad hoc secondo le esigenze di ogni singolo cliente.
Erika: Esatto, e poi ovviamente c’è anche la maniera giusta e la maniera sbagliata di fare questo lavoro perché a me arrivano spesso dei WordPress da manutenere dove c’ha messo mano il famoso cugino che con 50 euro fa il lavoro e vedo obbrobri pazzeschi perché all’interno del tema è stato inserito del codice custom che tu quel tema non lo puoi più aggiornare. Cioè il cliente ha pagato per un anno gli aggiornamenti magari, ma non li può fare perché sennò perde quello che è stato fatto o che è stato ficcato lì dentro.
Ljuba: Perché il cugino non ha mai creato il famoso child team… chi mi segue sa che io faccio una testa così sul fatto che è quasi, non sempre sempre, ma è quasi sempre consigliabile creare un child theme prima di modificare anche poche righe di codice CSS proprio per non perderlo in seguito gli aggiornamenti. Quindi il cugino il child theme non l’aveva fatto e il cliente non poteva più aggiornare il tema.
Erika: il tema, esatto. E io per esempio per i tipi di progetti che faccio difficilmente mi trovo ad avere dei temi acquistati, li faccio proprio io. Ho una base di partenza che è la stessa base di partenza che utilizzano i ragazzi di WordPress per fare i famosi TwentySixteen, TwentyEighteen… Utilizzo la stessa base di partenza e da lì sviluppo praticamente da zero il mio tema e quindi ogni progetto che curo io ha sicuramente il tema custom del progetto, con il nome del progetto, un plugin di funzionalità laddove vado a mettere tutto il codice che si occupa della gestione del dato… Quindi se il cliente ad un certo punto dice “ok questo tema mi hai stufato me ne compro un altro” i suoi dati rimangono, vengono visti.
Ultimamente con l’avvento di Gutenberg, quindi del nuovo editor di WordPress, faccio anche un plugin a parte per tutti i blocchi custom perché che io la maggior parte delle volte non mi occupo di grafichette stupide purtroppo, il mio web designer fa un sacco di grafiche ammalianti proprio, e quindi non posso andare solo a modificare quello che ho, devo proprio creare dei blocchi nuovi e quindi ho un plugin a parte anche per gestire i blocchi di Gutenberg e poi dopo tutto il resto possono essere plugin che ho sviluppato sempre io e servono per il progetto ma sono magari un po’ agnostici al progetto e se me li riutilizzo di progetto in progetto e così mi rimane anche del codice che continuo a manutenere e tutti i progetti su cui l’ho messo giovano di questa manutenzione perché io poi dopo rilascio la manutenzione su tutti quanti i progetti.
Ljuba: Ok provando… Forse sto semplificando troppo però diciamo che è corretto dire che magari il web designer – faccio finta di non essere una web designer ovviamente – che il web designer si può occupare fino ad un certo punto di personalizzarti il sito da un punto di vista delle funzioni senz’altro grazie ai plugin eccetera e grafico attraverso il codice CSS, ma quando poi bisogna passare ad un livello superiore dove è necessario scrivere per esempio codice PHP, lì subentra il programmatore. E non è – al contrario di quanto si possa pensare – non è affatto rara questa necessità: il fatto che debba subentrare un programmatore.
Erika: No, non è affatto raro anche perché WordPress ha questa bellezza di essere altamente personalizzabile, è estremamente estensibile e questo vuol dire che parte povero diciamo di funzioni. Questo perché ognuno poi dopo può aggiungerne quante ne vuole, come vuole.
Ljuba: Esatto.
Erika: Quindi si trovano tantissimi blog in giro che ti mettono i famosi snippet di codice “copialo e incollalo nel tuo functions.php e vedrai funziona”.
Ljuba: Fantastico, e poi adesso non c’è più la schermata bianca, per fortuna non esiste più la schermata bianca ma fino a pochi mesi fa schermata bianca era spesso il risultato.
Erika: Eh sì perché comunque chi non ha la competenza giusta non può valutare se quel pezzetto di codice che sembra tanto facile, quelle quattro righe, oh mio dio, hanno generato un buco spazio temporale: il mio sito chissà dove è finito… E io ho la competenza per andare a investigare dove si sta agganciando quel codice e se è giusto che sia così. Tutte le volte che mi capita, perché ovviamente io non conosco tutto l’ambiente di WordPress e quindi mi capita di cercare su Google come si fa una certa cosa… trovo lo snippet della vita che ti risolve il problema. Ok, passo da quello e dico “ma sarà veramente lo snippet della vita?” e inizio a prendere pezzo dopo pezzo, capisco che cosa sta facendo perché posso risalire nel codice a dove si attacca e quindi lo contestualizzato, sono in grado di capirlo all’interno del contesto.
Ljuba: Lo sai leggere, lo sai decodificare.
Erika: Esatto. E quindi so se è lo snippet giusto oppure no. Ok, ho imparato una cosa nuova, la prossima volta non serve che lo cerco perché l’ho capito.
Ljuba: L’obiettivo di questo di questo podcast è proprio quello di far capire l’importanza dei team e quindi in questo caso sempre di più mi viene da sottolineare: il web designer non è l’unica figura che vi serve per fare un sito. Ovviamente parlo del mio caso specifico. Però secondo me funziona così per la maggior parte dei web designer che realizzano siti WordPress che vadano oltre a “ti installo un tema e te lo metto online”.
Io per prima mi fermo al web design e il mio compagno, che anche il mio collaboratore, è anche lui uno sviluppatore, fa il lavoro che fa Erika più o meno, e lui si occupa di tutta la parte di personalizzazione. Quindi io lo definisco quella persona che realizza i sogni delle mie clienti molto più di me, perché in realtà io vado da lui con delle idee meravigliose del tipo “io vorrei che qui questa cosa su desktop…”. Perché poi si aprirebbe tutto un mondo sul responsive e su quello che voi potete fare per il responsive. Quindi dicevo: io vorrei che qui su desktop accada questo, questo e questo ma su mobile tutti questi moduli si devono posizionare una maniera differente perché devono essere adatti alla visualizzazione su mobile, vorrei semplificare questa cosa e quell’altra. E lui scrivendo codice rende possibile tutto questo che per me è solo nella mia testa, perché non sarei in grado di fare tutto quello, quindi il web designer arriva fino ad un certo punto. Se si vogliono delle personalizzazioni più avanzate e per personalizzazioni avanzate non significa solo robe veramente grosse, anche solo a volte di grafica a volte piccole cose che mi chiedono le clienti che sembrano davvero semplici, serve il codice PHP per realizzarle e quindi senza la collaborazione di un programmatore… io ho la fortuna di averlo in casa ma altrimenti sicuramente collaborerei con un programmatore esterno perché io arrivo fino ad un certo punto. Senza un programmatore diciamo che puoi fare siti davvero molto molto semplici e molto limitati, secondo me, da quello che ti permette di fare WordPress di base, il tema che hai scelto e i plugin disponibili sul mercato. Da lì in poi qualunque cosa in più tu vorrai servirà appunto il programmatore.
Erika: Esatto
Ljuba: Però diciamo, spesso il vostro lavoro non si vede tanto, non si percepisce… Perché sembra semplice. No. non è così scontato, non è così semplice. Certo per una programmatrice con la tua esperienza è semplice, son poche righe di codice, ma senza quella competenza è tutt’altro che semplice.
Erika: E soprattutto è difficile farlo capire, alcune volte mi rendo conto che inondo i clienti di chiacchiere perché gli devo far capire di che cosa si tratta quella piccola modifica che “tanto che ti ci vuole”.
Ljuba: Che tanto che ti ci vuole! Esatto, infatti è proprio qui il punto. Secondo me siamo talmente abituati a vedere che tutto funziona in automatico sul web, fai un clic qui ti arriva il coupon sconto sulla mail, inserisci il codice sconto, vai al carrello, ti arriva il corriere… tutto automatico, tutto veloce, pochi click ed è tutto molto molto semplice.
Questo fa sì che probabilmente molte persone, giustamente non essendo del settore, vedendo questa semplicità di come funziona il web non si rendano conto di quanto tanto tanto lavoro di programmazione c’è dietro. Più una cosa è semplice, veloce e riesci a farla con pochi clic più è stata studiata e poi realizzata in maniera davvero curata e c’è un programmatore dietro tutto quello.
Erika: Eh sì. E quindi questa semplicità viene pagata con tante ore di studio, test e poi dopo sviluppo ben concentrato sull’obiettivo. ecco.
Ljuba: Abbiamo detto Erika che tu lavori in una web agency quindi è inutile chiederti se ti capiti mai di lavorare in team. Quanto è importante secondo te la collaborazione, la vera collaborazione, con gli altri membri del team per la riuscita di un progetto?
Erika: È veramente veramente fondamentale, proprio perché io ho la mia competenza chi si occupa di UX, quindi la User Experience, ha la sua competenza, chi si occupa di grafica ha un’altra competenza ancora… Noi dobbiamo mettere insieme tutte le competenze ma non deve essere visto come un male che dobbiamo far parlare cose diverse insieme, ma è un bene perché io sono bravissima nel mio pezzetto, il grafico è bravissimo nel suo pezzetto. Quindi lui ha delle idee pazzesche, viene da me e dice “si può fare?”. Io guardo al volo “ok, sì, si può fare” e fa delle proposte grafiche pazzesche sapendo che si possono realizzare. Io le realizzo e alla fine i prodotti che vengono fuori sono di altissimo livello perché c’è stato lo studio della user experience, c’è stato studio tecnico di fattibilità. La grafica essendo una persona dedicata a quello, che ha studiato quello, ha una creatività geniale e quindi viene fuori un prodotto veramente professionale, di alto livello.
Ljuba: Perfetto. Hai proprio sintetizzato quello che è il senso del team e della collaborazione. Cioè mettendo insieme più professionisti si aggiunge un risultato che è un livello nettamente superiore di quello che potrebbe raggiungere un singolo professionista che prova a fare tutto, magari con tutto il suo impegno, con tutta la sua buona volontà, ma nessuno di noi può fare tutto, saper fare tutto. E quindi dalla collaborazione di team viene davvero fuori un risultato, un progetto, un sito chiamiamolo molto semplicemente, che sarà nettamente diverso da quello che può fare un solo web designer. Io faccio siti completamente da sola o quasi e non sono lontanamente paragonabili a quelli che faccio quando lavoro con un team di professionisti.
Lavorare in team, peraltro, come dicevi anche tu prima, è decisamente gratificante. È bello fare il proprio pezzetto, è bello collaborare con chi invece è molto esperto invece in un altro ambito.
A volte può essere però anche difficile… per caso ti sono capitate esperienze o particolarmente positive o particolarmente negative di lavoro in team che ci vorresti raccontare?
Erika: Sicuramente purtroppo queste esperienze capitano, per la legge dei grandi numeri prima o poi qualcosa che va male ci deve essere.
Ljuba: Poi tu lavorando così tanto in team immagino che avrai tante esperienze in mente.
Erika: Diciamo che quella più negativa ce l’ho paradossalmente, non in un team variegato ma in un team di soli sviluppatori. Cosa è successo… Praticamente appena inserita all’interno del team ho fatto enormi sforzi per anche solo capire da che parte iniziava il programma, come poter pubblicare sul server, perché c’erano talmente tante impostazioni, configurazioni, documentazione che mancava però se leggevi quel paragrafetto scritto di là allora forse potevi capire che mancava un pezzo… quindi quella è stata l’esperienza meno gratificante ed era in un team di soli sviluppatori.
Con un team variegato in realtà ho solo buone esperienze. Sia su progetti grandi che su progetti piccoli, comunque con il fatto che ognuno esprime il meglio di sé nella propria area e quindi a me arriva un prodotto che è stato validato comunque in determinate funzionalità da me, validato dal cliente che ha detto “ok, questo mi piace”, a me arrivano le grafiche, io le realizzo. Quindi di solito è sempre un’esperienza bella. Anche perché una volta che io ho iniziato la creazione grafica, di solito la creazione grafica per me arriva dopo un minimo di funzionalità che sono alla base di quella grafica, mi metto accanto al grafico, alla persona che si occupa della grafica, e validiamo insieme il progetto a più risoluzioni, mobile, il desktop, come cambia, vedi che questa cosa sparisce di qua e compare di là, e allora no, facciamo in quest’altro modo. Quindi diventa tutta una collaborazione anche costante insomma, ad un certo livello del progetto quando si iniziano a tirare le fila sei sempre in costante collaborazione con le altre figure, è veramente un momento anche solo di crescita. Perché ognuno nel suo piccolo continua a migliorare giorno dopo giorno e tu giorno dopo giorno ti confronti con quello che c’è dall’altra parte del tuo muro, che è il tuo limite naturale di comprensione, e di conoscenza e con questo confronto continuo tutto il team migliora giorno dopo giorno.
Ljuba: Quindi per riassumere Erika, secondo te qual è l’ingrediente fondamentale per far funzionare al meglio un team?
Erika: Sicuramente la comunicazione, ma la comunicazione fatta bene. Ci deve essere il momento in cui ognuno lavora sul suo, che analizza, che studia, che tira fuori le idee e che fa le sue prove e che realizza il suo pezzetto e ci deve essere il momento in cui magari tutti insieme si analizza la funzionalità che deve essere creata, che quindi prendo le grafiche e vedo che su più grafiche differenti c’è un filo che collega determinate cose e quindi chiedo la conferma a chi ha studiato quel flow e quindi posso partire con uno sviluppo cosciente di quello che è stato pensato da un altro cervello e che è stato messo lì in un file come immagine. Poi dopo appunto è seguita una comunicazione che ha messo tutti sullo stesso binario. Una comunicazione esagerata no, rischia solo di rompere la mia giornata lavorativa. Perché quando uno inizia a dire “adesso facciamo una call, ci sentiamo al telefono, su Skype, su Slack, Hangout, ci dobbiamo sentire”… quando inizia ad essere troppo oppressiva questa necessità di comunicazione cioè, c’è un problema da una delle due parti. Ma quando si mantiene una comunicazione equilibrata, che non si interrompe diciamo il momento di lavoro profondo, insomma, che ognuno può avere sul proprio ambito, ma piuttosto in un momento preciso si tirano le fila, si parla insieme, è veramente un momento preziosissimo per fare in modo che il progetto fili liscio dall’inizio alla fine.
Ljuba: Non potrei essere più d’accordo e probabilmente non avrei saputo spiegarlo meglio di così, davvero. La comunicazione in un team è davvero fondamentale, l’hai spiegato in maniera eccellente.
Bene Erika, siamo giunti alla fine dell’intervista, quindi ora vorrei chiederti dove possiamo trovarti in rete senza dover chiedere a Francesca Marano…
Erika: Che salutiamo nel frattempo.
Ljuba: Assolutamente sì, baci!
Erika: Allora, dove potete trovarmi… Diciamo che su GitHub non ho niente, cioè non c’è codice mio in versione open source in giro per il web.
Ljuba: Spieghiamo… Scusami Erika, spieghiamo alle persone che ci ascoltano che cos’è GitHub in due parole, solo perché non siamo tutti così tecnici…
Erika: Hai ragione.
Ljuba: Conosciamo tutti i social, se tu parli di social siamo perfettamente pronti a capire. Ma GitHub non è così immediato.
Erika: Ecco, GitHub è un posto dove i programmatori possono pubblicare il proprio codice per riutilizzarlo in vari progetti ma anche per renderlo pubblico e quindi io posso mettere del mio codice lì, altre persone possono scaricarlo e riutilizzarlo, possono leggerlo su questo sito e quindi è una piattaforma di collaborazione sul codice.
Ljuba: Perfetto, grazia. Grazie per averlo spiegato, adesso è chiarissimo perché tu in quanto programmatore, scusa programmatrice hai nominato per primo GitHub.
Erika: Perché comunque è una vetrina sulla qualità del codice che qualcuno scrive, mettiamola così. È un po’ il social della persona normale che va a farsi i cavoli dell’ex fidanzato…
Ljuba: Anche tu sei una persona normale, credimi…
Erika: §Ah grazie, ogni tanto ho il dubbio.
Ljuba: Siete persone normali anche voi.
Erika: E quindi dicevo su GitHub io solamente il codice che ho pubblicato per il talk del WordCamp Milano perché tutti i miei progetti, che io ritengo un po’ stupidi, tra cui quello dell’accendere luci di casa con Alexa, ce l’ho su un mio repository privato e quindi non lo pubblico mai.
Mi trovate più che altro ecco, se parliamo di social, su Twitter. C’è stato un periodo che sono riuscita ad essere un pochino più attiva, ultimamente proprio non ho tempo. Però ecco su Twitter mi trovate con il @dottxado. E tu mi dirai “ma che cosa vuol dire?” e io ti dirò: purtroppo sono appassionata di fumetti di Paperinik ma non tanto il Paperinik di Topolino ma il PK diciamo, che hanno fatto una versione un po’ più adulta di Paperinik. E una dei personaggi di questo fumetto è la dottoressa Xado e insomma è un personaggio che mi ha sempre affascinata per la forza che dimostrava e anche alcune volte la fragilità che come unico essere vivente della sua razza deve portare con sé insomma un fardello un pochino pesante e quindi mi ha sempre affascinato come personaggio. E da qui il mio handle dottxado.
Su LinkedIn… sono lì ma diciamo più che altro lo uso come curriculum online, non mi metto mai a condividere articoli social se non quando qualcosa di buono succede tipo la certificazione come Alexa Skill Builder di Amazon.
Ho un piccolo piccolo blog che sto iniziando a popolare con un po’ di contenuti ma è veramente ancora spoglio ed è raggiungibile su penguinet.it.
Se no mi trovate in giro magari per qualche WordCamp soprattutto nel nord Italia.
Ljuba: Esatto, stavo proprio dicendo: magari la incontriamo a qualche evento come come i WordCamp, che sono tutt’altro che riservati ai nerd e agli addetti ai lavori, anzi. Quindi potremmo incontrare Erika proprio ad un WordCamp a fare di nuovo un talk, invece quello molto nerd, sicuramente.
Erika: Esatto, sicuramente.
Ljuba: Grazie davvero Erika perché, almeno in me, questa puntata ha fatto nascere punti di vista e spunti di riflessione davvero preziosi, in particolare sull’uguaglianza di genere come ti dicevo prima, e che spero avremo modo e occasione per approfondire ulteriormente in futuro perché mi hanno davvero colpita molto.
Insomma, il mondo del codice sarà anche dominato dagli uomini e trovare una web developer da intervistare per me non è stato affatto semplice ma le tue parole per fortuna raccontano un mondo meno maschilista di quello che si tende a pensare. Spero anche che questa puntata possa essere utile ad aiutare le persone che ci ascoltano a capire quanto importante sia il vostro ruolo nella creazione di un sito web, perché davvero, siete davvero dietro le quinte, siete davvero molto nascosti e quindi troppo spesso quando dici al cliente “bisogna sentire un programmatore, bisogna farlo creare appositamente da un programmatore” c’è un momento di “Oh mio dio, questa figura terribile che parla solo in codice con cui sarà difficilissimo interfacciarsi, che costerà miliardi, che cosa farà mai un programmatore? Oh mio dio”. Quindi riuscire proprio a far capire che ci siete sempre voi programmatori dietro un sito, fosse anche solo perché hai installato da sola WordPress e ti sei creata il tuo sito da sola, lì dietro c’è il lavoro di tanti tanti programmatori. Quindi insomma, far capire davvero. spero di essere riuscita a far capire quanto il vostro ruolo sia importante, sebbene appunto discreto, dietro le quinte, forse un po’ nascosto ma fondamentale, altrimenti non esisterebbero i siti web.
Erika: Esatto, e io ringrazio te per avermi dato questo momento di gloria appunto per portare alla luce la mia professione poco compresa probabilmente e per avermi datoappunto questa occasione per parlarne.
Ljuba: Ma figurati, anzi, io ti ringrazio per il contributo che ha portato davvero prezioso e per averlo fatto addirittura senza conoscermi, quindi davvero grazie, grazie, grazie.
Erika: Grazie a te.
Ljuba: Ciao Erika.
Erika: Ciao.
La ricetta del successo è fatta di professioniste che danno un sapore deciso alla tua comunicazione.
Su DO-NUTS ti presento in ogni puntata un ingrediente del mio team dei sogni.
Il tuo qual è?
Fammelo sapere su ljuba.it oppure sul mio profilo Instagram o sulla mia pagina Facebook.
Ti aspetto




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